Quantcast
Channel: Quasi rete » em bycicleta
Viewing all articles
Browse latest Browse all 5

Tista, Tano, la ‘tripla’ e un’antica voglia di sprint

$
0
0

Se Big Frank Parigi è l’Enciclopedia del calcio, Gianni Bertoli, per quelli di em bycicleta, che lo conoscono come ‘zio Aramis’, è l’archivio vivente dell’age d’or del ciclismo, dal 1935 (esordio di Bartali) al 1959 (ultimo anno di corse per Coppi). Dalla meccanica del cambio a quella dei sentimenti, per lui non c’è quasi nessun segreto per quei 25 anni di gare (www.giannibertoli.it). Negli anni ’50 ha corso come esordiente e allievo (molto cuore, un po’ di cervello ma poco fisico) e nel decennio seguente, in sella a una Vespa, è stato campione italiano nelle gare di regolarità. Aspettando il mondiale di Stoccarda, nato già avvelenato dai sospetti e dai veti incrociati, ci si consola nel leggere fabule a pedali come queste, che, speriamo, possono fare a meno di Epo e salbutamolo.

Tista, Tano, la ‘tripla’ e un’antica voglia di sprint
di zio Aramis

Quando, alla fine di agosto del 1998, la nascita di Elisa mi fece diventare nonno, decisi che era ora di “farmi” una bici da corsa nuova. Alla decisione contribuì certamente un più o meno recondito desiderio di continuare a sentirmi giovane ma sicuramente la mia “Guerciotti” era un po’ demodé. Oddio, era in perfetto stato, dalla meccanica alla verniciatura, ma, purtroppo, era del 1990: cambio Campagnolo con leve al telaio, ruota libera a soli sette ingranaggi, freni Campagnolo del poco fortunato modello a “delta” con tiraggio centrale.

Insomma, non un catorcio ma un perfettissimo e conservatissimo modello di antiquariato ciclistico secondo il normale pensiero di un qualsiasi “amatore” del pedale, attento a non lasciarsi mancare l’ultimo grido in campo di tecnica, accessori, abbigliamento e quant’altro.

Un ex collega di lavoro mi suggerì di andare ad Arzago d’Adda da Giambattista Baronchelli. E così andai dal famoso Gibì un po’ perché avevo avuto anche altre buone referenze e un po’ per la curiosità di conoscerlo di persona.

Gibì mi accolse nel suo negozio, gli parlai delle mie esigenze, mi prese le misure facendomi stare senza scarpe su un vecchio foglio di “Gazzetta” appoggiato sul pavimento e, alla fine, dandomi subito del tu, mi disse: “E’ bello fare le biciclette per le persone che hanno le misure proporzionate, non si fa fatica”. E poi, rivolto verso il retrobottega, sentenziò: “55 quadro”. Fu allora che mi accorsi che nel retrobottega, adibito a officina di montaggio, lavorava in assoluto silenzio il fratello maggiore di Gibì, Gaetano. Anche Gaetano era stato un buon corridore professionista sempre però nell’ombra del fratello più famoso. Gaetano stava registrando uno “Shimano Ultegra” e non sembrava molto loquace; lavorava in silenzio.

Gibì, invece, chiacchierava volentieri, e diventammo subito amici tanto che andavo volentieri a trovarlo per due chiacchiere anche senza avere una particolare necessità. Gaetano lavorava sempre in silenzio nel retrobottega.
Venni così a scoprire diverse cose di Gibì: era interista e non vedeva di buon grado il difensore Cirillo, continuava ad andare in bicicletta, non disdegnava la buona cucina, riteneva Hinault forse più forte di Merckx e infine nessuno, proprio nessuno, tra amici e parenti, lo chiamava “Gibì” ma tutti lo chiamavano “Tista”. E tutti chiamavano “Tano” il fratello taciturno.

Intanto facevo il “pedalatore solitario” in sella alla fiammante “Baronchelli” rossa, gialla e blu. Era un gioiello: cambio Shimano 105, ruota libera a nove ingranaggi e una tripla moltiplica 52-42-32. “Per un cicloamatore la ‘tripla’ è l’ideale – mi aveva detto il Tista – perché ti consente di andare dappertutto”. Aveva ragione sicuramente anche se, in realtà, nelle mie uscite su strade completamente pianeggianti mi sarebbero bastati due soli rapporti, il 42×16 e il 42×17. Avevo quindi ben venticinque combinazioni in eccesso. Beh, si sa, sono le “voglie” dei cicloamatori.

Usare la “Baronchelli” era un piacere ma mi mancava la compagnia. Le uscite solitarie alla fine pesano e non sono molto stimolanti. Mi ero da poco trasferito in campagna lasciando a Milano quei due o tre amici che ogni tanto si univano a me per qualche sgambata lungo il Naviglio Grande o su strani circuiti disegnati tra il Parco Lambro e i viali dell’Idroscalo.
Il tutto cambiò radicalmente quando Gigi Bergamaschi, amico da sempre, mi confessò di avere l’intenzione di acquistare una bici da corsa perché, pur non avendo mai corso in bicicletta, si era aggregato da un po’ di tempo ad alcuni amici e li seguiva con una scalcinata mountain bike col risultato di farsi sempre “tirare il collo”.

Detto fatto. Due giorni dopo accompagnai Gigi dal Tista. Il mio amico voleva acquistare una bici usata perché non era sicuro di avere poi voglia e costanza di continuare. Dopo un po’ di contrattazione col Tista, si portò a casa una “De Rosa” in splendide condizioni, dopo che il Tano, proferite poche essenziali parole, aveva eseguito una registrazione generale.

Da quel giorno ripresi ad uscire con continuità e costanza. Gigi, tra l’altro, si dimostrò un ottimo pedalatore a dispetto del fatto di non avere mai praticato il ciclismo in gioventù. I percorsi scelti erano comunque sempre pianeggianti e le massime asperità erano rappresentate dai frequenti cavalcavia sull’autostrada: uno era il Pordoi, l’altro il Tourmalet, quello più ripido il Mortirolo e così via.
Gigi, oltre alle uscite in mia compagnia, si aggregava, ogni tanto, anche al gruppo dei suoi amici, i quali sceglievano quasi esclusivamente percorsi con un po’ di salita. Chiesero più volte anche a me di unirmi a loro ma rifiutai sempre per paura della mia tendinite rotulea.

Rifiutai più volte ma alla fine cedetti. Era la prima domenica di dicembre del 2000. Gigi ed io eravamo ben rodati dopo le nostre sgroppate in pianura. Il ritrovo era previsto nel piazzale del centro commerciale di Carugate. Arrivai per primo con un po’ di emozione. Scaricai la “Baronchelli” dal pianale della vecchia Panda e, mentre stavo montando le ruote, giunse Gigi, seguito a brevi intervalli dai suoi quattro amici. Le rapide presentazioni mi fecero scoprire che gli amici di Gigi possedevano tutti una “Colnago” e che, curiosamente, i loro nomi iniziavano tutti con la “A”: Adriano, Ambrogio, Augusto e Aurelio.

Adriano, Augusto e Aurelio erano piuttosto snelli e di media statura mentre Ambrogio era un “armadio”, portava i calzoncini corti anche in dicembre e un suo polpaccio era più grosso di una mia coscia.

“Allora, oggi facciamo una sessantina di chilometri verso l’alta Brianza. – annunciò Ambrogio che, oltre ad essere un ‘armadio’ sembrava un po’ il ‘capo branco’ – Solito percorso con tappa al solito bar di Casatenovo dove Adriano, il commercialista, offrirà il caffè a tutti.”

Adriano annuì e ci preparammo alla partenza. Non nascondo che ero un po’ preoccupato per la reazione della mia rotula sinistra a performances da scalatore che per me erano solo lontani ricordi.
Decisi di mettere le mani avanti: “Oh! Ragazzi, vediamo di andarci un po’ piano perché io l’ultima salita vera l’ho fatta quarant’anni fa giusti giusti.” Le mie parole furono seguite da una sonora sghignazzata. Intervenne però Ambrogio, forse impietosito: “Vabbè, per rispetto del nuovo adepto, non faremo la solita strada ma la variante che abbiamo fatto domenica scorsa. Sono cinque chilometri in più ma così eviteremo il ‘muro’ che forse per lui ha una pendenza eccessiva”.

Non saprei dire se mi sentissi più umiliato o più sollevato. Comunque partimmo. Mi posi prudentemente in coda al gruppo per valutare la situazione. Ambrogio ed Augusto facevano una buona andatura ma, si sa, in pianura tutti i santi ti aiutano.

Arrivarono le salite e, con mia grande sorpresa, mi accorsi di tenere le ruote con buona disinvoltura. Arrivammo tutti assieme al bar di Casatenovo dove Adriano, il commercialista, offrì il caffè a tutti.
Il ritorno, tutta discesa e pianura, non mi creò alcun problema, anzi feci anche qualche “trenata” in testa sul filo dei quaranta.

La domenica successiva, complice il bel tempo, ripetemmo una uscita simile alla precedente. Prima di lasciarci Ambrogio annunciò: “Domenica prossima, stessa ora a Carugate. Però andiamo a fare il ‘muro’ e non voglio scuse.”
Durante la settimana qualche dubbio mi assalì e chiesi notizie di questo “muro” a Gigi.
“E’ uno strappetto molto ripido – fu la risposta – sul 20% di pendenza, penso.”
“Ma tu che rapporto usi?”
“Io metto il 39×25 come gli altri ma penso che Ambrogio metta il 23.”
Dopo varie valutazioni decisi: avrei usato il 42×25.

E giunse il giorno fatidico.
Sul piazzale del centro commerciale di Carugate mi sembrò di annusare un’aria diversa. Suggestione o realtà, sentivo aria di battaglia. Mi dissi di stare tranquillo e di controllare gli eventi.
Non mi ero sbagliato. Come la strada prese a salire, Ambrogio annunciò: “D’ora in poi ognuno per sé e Dio per tutti. Appuntamento al solito bar di Casatenovo. E, come sempre, paga il commercialista.”
Mi misi in coda al gruppo per meglio controllare la situazione. Ma quando arrivava ‘sto “muro” maledetto? Mentalmente pensavo alla “cambiata”: catena sul 25 e poi giù sul 42 anzi, no, era meglio il contrario. Anzi meglio mettere subito il 42.

Mentre stavo arrovellandomi sui rapporti, improvvisamente, dietro una semicurva, ecco il “muro”. Vidi tutti “zampettare” sui pedali dimenandosi e sparpagliandosi per tutta la sede stradale. Ero rimasto sorpreso. Cercai di recuperare, accelerai la “cambiata” e, nell’orgasmo, anziché il 42 misi il 32. Maledetta “tripla”! Mi trovai a frullare l’aria con i pedali senza progredire. Il tempo di ingranare il giusto rapporto e il “muro” – lungo non più di cento metri – era già finito. Terminai ultimo, staccatissimo. Una cosa vergognosa!

“Eh, no. Non può finire con questa figuraccia” pensai tra me e me e, con un breve sforzo, mi riportai in gruppo.
Ormai era proprio “bagarre”. Ambrogio e Augusto menavano di brutto. Mi portai alla loro ruota. La strada saliva con costanza. Ambrogio diede uno strattone di potenza pura, restai alla sua ruota con una certa facilità (si fa per dire), mi girai e mi accorsi che avevano ceduto tutti tranne Aurelio. La pendenza aumentava, eravamo verso il culmine della salita. Aurelio impugnò il manubrio nella parte bassa come soleva fare Pantani e, come il “Pirata”, scattò andandosene da solo “en danzeuse”,
“Sta scattando” dissi con un fil di voce ad Ambrogio.
“Lascia che scatti!” mi rispose Ambrogio con un rantolo.

La strada spianò. Aurelio aveva una ventina di metri di vantaggio. Ambrogio ed io rifiatammo un attimo e poi via di comune accordo. Passammo in tromba Aurelio che non tentò nemmeno di mettersi in scìa. Volavamo. Una leggera discesa ci consentì di mettere il massimo rapporto. Il traguardo del bar di Casatenovo era vicino.

A mezzo chilometro dal bar, il vecchio istinto mai sopito del corridore mi fece balenare l’idea di fare la volata. Fu un attimo – neanche tanto breve per la verità – e poi abbandonai l’idea un po’ per decenza, un po’ per rispetto dei capelli grigi e poi … perché … insomma … beh … e se mi avesse battuto?


Viewing all articles
Browse latest Browse all 5

Trending Articles